L'ABBAZIA DI S. STEFANO DI CARRARA

 

 

 

 

 

 INTRODUZIONE

La mancanza di reperti non permette di documentare con certezza la presenza di insediamenti preromani a Carrara; purtuttavia, i frequenti ritrovamenti eneolitici e paleoveneti, avvenuti nei dintorni, potrebbero far supporre l'esistenza di alcune forme di civiltà in tale periodo (1).

I reperti più importanti ad oggi rinvenuti risalgono tutti al I sec. dopo Cristo. Sono venuti alla luce soprattutto depositi di anfore (2) ed iscrizioni, nei pressi dell'attuale Chiesa.

Dalle lapidi si può tuttavia arguire che Carrara S. Stefano fosse popolata in età romana già da qualche secolo; senza dubbio però doveva godere del periodo di maggior floridezza nell'età imperiale. Alla metà del I sec.d. C. risale infatti un cippo gromatico rinvenuto a S. Pietro Viminario. Il ritrovamento conferma l'esistenza di una centuriazione agricola a sud-ovest di quella della Saccisica (3). Secondo questa divisione risulta che Carrara S. Stefano si trovava nel luogo d'incontro fra il D.D. II ed il U.K. I; questo fatto è di notevole importanza, se si pensa che tale ubicazione favoriva la formazione di un pagus. L'esistenza della centuriazione rivela quindi la fertilità della zona e l'importanza che vi dovevano avere le attività agricole.

I più importanti personaggi della vita politica del tempo costruirono le loro ville, al centro di estesi possedimenti terrieri, nella zona. Il nome di costoro ci è dato dalle iscrizioni stesse e tale supposizione è confermata anche dalla Gasparotto, quando afferma che "Luvigliano, Torreglia....e Carrara (S. Stefano e S. Giorgio), ove nel Medioevo sorse una grande Abbazia, erano popolati in età romana ed ivi avevano ville e possessi i Cetroniani ed i Pompei patavini" (4).

Molto probabilmente il vicus che sorgeva nell'attuale area del centro di Carrara S. Stefano costituiva un importante centro agricolo dell'agro patavino.

Non si può neppure escludere che fosse attraversato da vie di una certa importanza, che rendevano agevoli gli spostamenti per alcune attività commerciali. Tale possibilità è resa necessaria anche dal fatto che il vicino centro di Cartura era famoso fin dall'antichità per le fabbriche di laterizi dei Cartorii e della Pansiana (5). La stessa grande quantità di mattoni, provenienti da queste fabbriche, impiegati nelle vaste costruzioni della vicina zona termale Aponense, rendeva necessario un tracciato che servisse da collegamento diretto tra i centri meridionali dell'agro patavino (6).

Col passare del tempo, però, la crisi politica ed economica dell'impero doveva ripercuotersi nell'agro patavino: l'ultimo reperto romano trovato a Carrara S. Stefano risale agli inizi del III sec. d. C. (7)

Se la mancanza di reperti e di fonti, almeno per ora, non rende possibile la conoscenza delle attività che si praticavano nella zona fino all'alto medioevo, tuttavia si può supporre che Carrara avesse continuato a prosperare grazie anche alla sua ubicazione ed alla fertilità del territorio lavorato. Non è da escludere che il Cristianesimo si sia diffuso ben presto nel luogo, probabilmente prima che nella zona termale Aponense, dove i culti pagani erano assai radicati. Che la religione cristiana avesse trovato larga diffusione a Carrara S. Stefano già dal VI o VII sec., lo farebbe supporre l'esistenza di un oratorio sotterraneo del primo romanico e la scoperta di resti musivi sotto il pavimento dell'attuale Chiesa. Lo stesso significato allegorico cristiano riscontrabile nei due mosaici, presupponeva che già da alcuni secoli le pratiche religiose avessero trovato larga diffusione fra gli abitanti della zona. Del resto la nascita stessa di una importante Abbazia, come quella sorta a Carrara S. Stefano, si può spiegare solo in un ambiente profondamente religioso.

L'oratorio sotterraneo esistente in Villa del Bosco (così si chiamava Carrara S. Stefano prima dell'anno Mille) era intitolato a San Pietro. Di esso ci rimane un disegno, eseguito per ordine di Pietro Ceoldo prima della sua demolizione, avvenuta con quella della Abbazia, nel 1793. Il pavimento si trovava quasi due metri sotto il livello del terreno circostante; l'oratorio che misurava m. 13,50 in lunghezza, m. 8,20 in larghezza ed era alto m. 3,20 dal pavimento alla sommità delle volte, era a tre navate, con quattro volte per parte, sostenute da colonne ottagonali di marmo veronese. Gli archi delle volte, semicircolari, andavano diminuendo di diametro man mano che si avvicinavano all'abside, rivolta ad oriente. Verso ovest era spostata la porta d'ingresso, che, attraverso un corridoio, metteva nel chiostro a fianco del Capitolo dell'Abbazia (8).

Quanto all'arte di questi manufatti si deve subito avvertire che nella penisola si diffondeva un nuovo tipo di cultura, un nuovo modo di intendere l'arte stessa. Le raffigurazioni dell'artista, o meglio dell'artigiano, fuori dai modelli classici e tardo-imperiali, avevano un qualcosa di primitivo, quasi di grottesco; ma vi si notava già una vitalità spirituale non dissimile da quella dei primi cristiani. Questo nuovo modo di intendere l'esistenza trovava la sua pratica soprattutto nelle comunità religiose. E' infatti con la fioritura di questa nuova cultura che si intensificò l'attività dei monasteri benedettini, ai quali i duchi italiani non fecero mai mancare il loro aiuto.

 

I - IL MONASTERO BENEDETTINO DI CARRARA S.STEFANO

In questo clima venne fondato il monastero benedettino di Carrara S. Stefano.

Probabilmente i primi monaci vi giunsero già nel X° sec. Il Ceoldo nella sua memoria è propenso ad affermare che l'abbazia carrarese sia stata la più antica della provincia: "Ben credo di avvertire - egli scrive - come il nostro Monastero Carrarese è il più antico che si conosca con certezza di tutta la nostra provincia" (9).

Tuttavia il monastero iniziava il periodo di vero splendore nella prima metà del secolo XI. Nel 1027 infatti l'Abbazia passava in protezione dell'allora fiorente famiglia dei Da Carrara. Questa notizia è conservata in un documento riportato dal Gloria (10) e viene citato anche dal Ceoldo: "Sta dunque nel nostro Codice la carta, nella quale si scopre, che Litolfo da Carrara, vivente Legge Longobarda, nell'anno 1027, indizion decima, anno I qui in Italia dell'impero di Corrado detto il Salico, mese di Luglio, fonda questa abbazia…." (11).

Nel documento sono contenute anche alcune donazioni di terreno, fatte dal principe Carrarese ad uso del monastero: "ego Litolfus filius quondam Gumberti... do, cedo, trado atque offero in iam dicta ecclesia, ... massaricias quatuor in dicta villa qui dicitur Carraria et massaricias duas in Buvolenta et duas massaricias in loco qui dicitur Pernumia et massaricias tres in loco Arquada et massaricias quattuor in loco Montigroto".

In breve tempo il monastero estendeva le sue possessioni in vasti territori dei paesi vicini (12), cosicchè si può senza dubbio affermare che, con la sua fondazione, la vita politica ed economica di Carrara e dei dintorni andò strettamente evolvendosi con le vicende stesse del monastero.

Questa rapida ascesa si deve soprattutto alla famiglia dei Da Carrara, che floridezza economica e nobiltà avevano portato alla stima degli stessi imperatori germanici, come Enrico V e Federico I, i quali presero sotto la loro protezione la famiglia e tutte le sue possessioni (13). I da Carrara fecero dell'Abbazia il loro "luogo di culto" per molte generazioni; anche se solo i primi principi - secondo quanto afferma il Ceoldo - fecero costruire le loro tombe nella Chiesa. Probabilmente esse si trovano ancora sotto lo attuale quadrato musivo, ai piedi del presbiterio; il cerchio centrale di tale scomparto porta un'iscrizione, incisa dallo stesso Ceoldo:

Carrariensium Monumentum

Quod Papafavios Sequitur

Il penultimo principe sepolto nella Chiesa fu Marsilio, morto nel 1338; di lui ci rimane il magnifico mausoleo (14). Sotto la sua protezione l'Abbazia aveva raggiunto l'apice della sua fama, sia nel campo religioso come in quello culturale. Ma anche nel periodo di maggior sviluppo non mancarono alcune avversità. La più nota è la lite (1194) sorta col Vescovo di Padova per l'elezione degli Abati. Era costume che l'Abate venisse eletto dai monaci con votazioni interne senza alcun intervento del Vescovo; ma ora il Vescovo di Padova pretendeva di intromettersi nell'elezione. La questione si trascinò fino a Roma davanti al Papa, tuttavia in pratica non si giunse mai ad alcuna soluzione. Si viveva in un clima di ordini e di trasgressioni, mascherate da atti di ossequio.

Un'altra calamità il monastero dovette subire col terremoto del 1117; è anche probabile che lo stato di precarietà in cui si è venuto poi a trovare il pavimento della Chiesa (tanto da rendersi necessario un restauro nel sec. XIII) sia dovuto proprio a questo fatto.

Della fine del sec. XIII è anche il campanile, esistente ancora oggi, con la cupola conica, formata (com'era d'uso in quel periodo) di pietra di cotto (15). Nel campanile si trova tra l'altro la prima lapide appartenente all'Abbazia: "Dopo quasi tre secoli dalla fondazione della nostra Abbazia - scrive il Ceoldo - abbiamo finalmente una lapide che le appartiene. Vedesi questa nella facciata a ponente nel primiero sito, ove fu collocata, incisa in macigno. E' la seguente portata anche dal Salomonio:

MCCLXXXXIII

Tempore Doni Omneboni Abatis

Rehedificatum Fuit Hoc Campanile (16)

Dal rehedificatum si deduce senza dubbio che esisteva un campanile anteriore a questo; "ll vescovo Tomasini - continua a tale proposito il Ceoldo - in quel scritto pugillare da me conservato, ed altre volte citato, vi fa sopra quella parola rehedificatum vari commenti. Dice in primo luogo, che da questo termine si deve inferire, che un altro campanile vi fosse, avanti di questo; il che si deve accordare (17).

Nel secolo XV il monastero iniziava la sua decadenza. La sua sorte come accadeva per quasi tutte le altre comunità religiose, seguì quella dei protettori. Nel 1405 i principi carraresi venivano sconfitti dalla Repubblica di Venezia, la quale non esitò ad impadronirsi di tutti i loro possessi. In questo periodo l'Abbazia viveva in un clima di disordini interni, che culminarono nel delitto: un abate, di condotta alquanto discutibile, venne ucciso dagli stessi appartenenti al monastero, stanchi dei suoi soprusi.

Dopo un periodo di tempo trascorso sotto il dominio dei Medici di Firenze, granduchi di Toscana, si giunse all'epoca della demolizione. Poco tempo prima la Repubblica di Venezia aveva decretato la confisca dei beni appartenenti agli ordini religiosi. Passata in possesso di alcuni privati, l'Abbazia fu demolita nel 1793. La sua demolizione è così descritta dallo stesso Ceoldo: "Correva l'anno 1793 quando il Possessore venne in deliberazione di demolire tutte le fabbriche là esistenti. Antonio Scapin Protomuraro di Padova esibì soli Ducati mille per tutti quegli immensi materiali. Fu accettata l'esibizione, e con scrittura convenuto, che lo Scapin nel termine d'anni due demolir dovesse tutto quel gran Fabbricato, avendo il padrone del luogo, al certo come padrone, nella scrittura eccettuato soltanto la Chiesa, Campanile, Sagrestia, e case ad uso una del Vicario, l'altra del Campanario...; li 8 Aprile 1793 s'incominciò il totale annichilamento" (18).

 

II - I DUE MOSAICI DELL' ANTICA PARROCCHIALE

Per uno studio più sistematico (e tale da mettere in evidenza le caratteristiche e l'importanza che hanno avuto nell'arte musiva veneta i due lacerti di Carrara S. Stefano), ho dovuto prima di tutto cercare di sapere quando e come sono stati rinvenuti. Non sarebbe stato infatti cosa facile datarli, anche per la loro collocazione all'interno della Chiesa; ciò poteva suscitare più di una perplessità. Ho ritenuto quindi opportuno riferire i particolari del ritrovamento.

Le prime notizie che ho avuto l'opportunità di raccogliere sono riferite dal Dall'Oglio; il quale, esaminando i vari motivi che dimostrano l'esistenza di una comunità religiosa benedettina a Carrara S. Stefano prima dell'anno Mille, descrive la scoperta dei due resti musivi, venuti alla luce in uno dei frequenti restauri del secolo scorso (19).

L'architetto Camillo Boito, che diresse i lavori per la ristrutturazione del pavimento, alla fine del secolo, trovò i due mosaici, posti lateralmente alla navata della Chiesa, quasi ai piedi del presbiterio, ai lati del grande quadrato in mosaico del sec. XIII, che porta il sigillo della sepoltura dei principi carraresi. Secondo il Boito, resti di un pavimento musivo antico si trovano sotto l'attuale litostrato della chiesa, ad una profondità di cm. 17; ma vediamo più esattamente che cosa lo stesso architetto riferisce nella sua memoria: "A fare proprio bene converrebbe, quanto al pavimento, abbassarlo di diciassette centimetri sino a trovare i resti di quell'antico litostrato, del quale si può vedere qua e là qualche frammento nell'area della Chiesa; uno rettangolare, fra gli altri; abbastanza grande e bene conservato sotto il magnifico sepolcro di Marsilio da Carrara. E' formato di pietruzze bianche e nere con quadratelli di marmo di diverso colore... ma, dato anche di poter trovare sotto l'attuale piano, dei larghi tratti di codesto litostrato, .il risarcirlo, il compierlo e poi il conservarlo sarebbe lavoro eccessivamente costoso e difficile…" (20). Il Boito continua poi con un'osservazione importante: "Dall'altra parte l'alzamento del suolo non è cosa recente, non essendo recente il mosaico delle cinque ruote carraresi" (21).

Dello stesso restauro e dei resti musivi parla anche Federico Berchet (22). Trattando dei vari restauri ordinati dalla Soprintendenza in quell'anno nella Chiesa di Carrara S. Stefano, scrive: " Si fecero le più diligenti indagini pella ricerca dell'antico litostrato e si ebbe la fortuna di trovare due grandi rettangoli, uno dei quali misura m: 3,44 in lunghezza e m. 1,86 in larghezza, e l'altro misura m. 1,96 in lunghezza e m. 1,90 in larghezza" (23).

Il Berchet rileva poi i motivi dei due mosaici: "Questi interessantissimi frammenti si trovano ai due lati del grande mosaico tessulare coi cinque dischi a ruote ed il secondo - preciso che il Berchet intende quello raffigurante la croce - è la continuazione di quel piccolo tratto ch'era anche prima visibile sotto il monumento di Marsilio da Carrara" (24). Tale relazione si conclude con la descrizione della ristrutturazione del resto del pavimento, che si trovava in uno stato precario.

L'esistenza di resti musivi nel pavimento della Chiesa era nota anche prima del Ceoldo; anzi è probabile che il "piccolo tratto" di cui parla il Berchet, trovato sotto il mausoleo di Marsilio, sia un'inesattezza nell'indicare la profondità del lacerto musivo (25): "Un pavimento di bel mosaico alla profondità di qualche piede fu scoperto anni sono nella Chiesa, quasi sotto il mausoleo di Marsilio all'incontro di cavare per una sepoltura. Io veramente non mi fidarei gran fatto sulle tradizioni di quella gente, se appunto nel cavare non ne avessero levato un pezzo, che poi se ne servirono per compiere il pavimento. Questo mostra un fondo tessellato minuto all'antica di marmo bianco, con un pezzo di figure di tasselli di pietra oscura. E' esistente e visibile tuttavia nella scala del mio appartamento, colà ove la feci trasportare" (26).

Delle notizie riportate dagli autori citati si serve, in un suo recente studio sui due mosaici, anche lo stesso Zovatto. Lo studioso, dopo aver fatto una rapida descrizione geografica e storica del luogo, afferma: "Nella modificazione della Chiesa, avvenuta nella seconda metà del secolo XIII, il pavimento musivo originario rimase 17 cm. sotto il nuovo pavimento. Nel restauro del Boito esso fu ricostruito lungo le pareti della navata, al lato del litostrato ad opus sectile, che dispiega un grandioso medaglione..." (27).

Dopo un breve periodo, in cui l'arte italiana subì l'influenza delle tecniche miniaturistiche francesi, che dell'arte carolingia, assieme ad altri esempi di arte minore, rappresentano la principale espressione artistica, ritorna nel sec. IX e X la decorazione a mosaico dei pavimenti, diffusa soprattutto nell'età ellenistica, romana e paleocristiana. Le nuove tecniche musive ripercorrono quei modelli antichi, ricollegandosi anche agli influssi orientali, molto spesso derivanti dall'imitazione di ornati di stoffe.

Particolare importanza assume la decorazione musiva nell'Italia settentrionale, dove nel secolo IX non si conosce alcuna forma pittorica di rilievo.

Ricca di motivi musivi è la zona delle Venezie, dove è probabile si siano formate alcune scuole locali di mosaicisti, i cui temi trovavano delle fonti importanti nei mosaici della vicina Aquileia e di Grado.

Un esempio è fornito da Carrara S. Stefano; motivi e schemi geometrici, che si riscontrano nei due mosaici, ricorrono di frequente nell'arte musiva veneta altomedievale.

Il ritmico schematismo lineare ed il gusto per le combinazioni geometriche, che caratterizzano il mosaico posto al lato sinistro della Chiesa, sotto il mausoleo di Marsilio, e che si ripetono sempre uguali per lunghi tratti, interrotte solo nelle parti delimitanti il mosaico stesso dall'uso dell'opus sectile, sono caratteristiche riscontrabili in particolare nella zona lagunare.

Entro clipeo vi è raffigurata una croce fogliata, circondata da elementi floreali; il motivo della croce, qui riprodotto, trova interessanti manifestazioni a Gazzo Veronese (28) e nell'Abbazia di Pomposa (29).

L'altro mosaico, rispetto al primo, rappresenta motivi più vari; una fascia di girari di vite, vari motivi floreali e figure di volatili delimitano una parte centrale, in cui è raffigurata un'aquila circondata da elementi zoomorfi di significato allegorico. Sotto di questa si trova il motivo delle onde marine, riscontrabile in altri luoghi del Veneto, in mosaici paleocristiani e dell'altomedioevo. Molto simile al nostro è quello adottato nella chiesa di S. Zaccaria a Venezia (metà sec. IX) (30). Lo Zovatto, descrivendo i mosaici di Gazzo Veronese, afferma che tale motivo "è molto in voga, ad Aquileia, a Grado ed a Verona, nel ninfeo di S. Maria in Stelle di Valpantena; continuerà nei pavimenti musivi di Carrara S. Stefano (sec. X) presso Padova, di S. Marco a Venezia (sec; XIII) ed altrove (31).

Destano particolare interesse in questo mosaico gli elementi zoomorfi, che ricorrono di frequente in questo periodo nei pavimenti musivi dell'Emilia e di tutta la costa lagunare veneta. Vi è rappresentata l'aquila contrapposta al corvo, la faina che lotta vittoriosamente contro le insidie del serpente, il lupo che soccombe. Sono tutti motivi che si ritrovano costantemente nel bestiario medievale, sicuramente alludendo alla lotta tra il credente e le forze del male. Senza dubbio questi motivi riflettono lo spirito dell'uomo medievale, che, in virtù della sua fede, li considerava rappresentazioni ammonitrici dei pericoli esistenti nel mondo, a danno dello spirito.

Il motivo dell'aquila risulta determinante anche per la datazione dei due mosaici: motivi uguali sono riscontrabili nel tesoro della Cattedrale a Bressanone (tra il X ed XI sec.) (32), nella Chiesa di Pomposa (33), nella Chiesa di S. Eusebio ad Auxerre (34). In genere ricorrono di frequente in questo periodo nell'arte bizantina, che la dottrina iconoclastica, seppur violenta, riuscì solo in parte a modificare; è quindi fondata la supposizione di un'influsso orientale nei due pannelli musivi. Per tutti questi motivi, sono databili in un periodo che sta tra il X ed XI secolo.

I due mosaici si trovano ai fianchi di un grande quadrato musivo del XIII secolo ad opus sectile, situato ai piedi del presbiterio. Il quadrato racchiude un grande rosone, dal cui centro, in marmo rosso di Verona, si diramano otto raggi. Il rosone è circondato da una serie di elementi curvilinei intrecciantisi, formanti agli angoli del rosone stesso altri quattro dischi. Si tratta di una tecnica molto diffusa in questi secoli nella zona lagunare; motivi uguali si ritrovano a Pomposa (sec. XI) (35) e nella Basilica di San Marco.a Venezia (sec. XIII) (36). Questa lavorazione in mosaico non è tuttavia presente per la prima volta in questo periodo; aveva infatti avuto molta diffusione in un misto di opus sectile e di opus tessellatum anche nelle decorazioni dei pavimenti romani. Dal punto di vista tecnico si può senza dubbio affermare che ci si trova di fronte a due maestranze alquanto povere artisticamente. Viene adottato il tessellato in bianco e nero, molto in voga soprattutto in questo periodo, ma che aveva trovato larga diffusione anche nei mosaici di età imperiale e paleocristiana.

E' la povertà della tecnica e dei materiali usati che caratterizza l'arte musiva di questi secoli. Il Galassi mette in evidenza tale caratteristica, quando rileva che "scarsezza di materiali, tendenza correlativa, quasi per legge dei compensi, allo sfruttamento del monocromo, slittamento delle pratiche artigiane verso il popolare..." sono tutte caratteristiche distintive di quel periodo e dell'arte protoromanica (37).

D'altra parte l'artigiano si sente lontano dagli schemi tradizionali dell'arte romana e paleocristiana, e ciò rende possibile l'abbandono ad un maggior estro creativo, usando una tecnica e dei mezzi espressivi di estrema semplicità, ma di sicuro effetto religioso e decorativo.

Bisogna anche pensare al compìto che l'arte medievale (in particolare la pittura e la decorazione musiva) si prefiggeva. Il suo intento era di ornare gli edifici sacri, dove si riunivano per i riti i cristiani di ogni ceto sociale. Di conseguenza "fu necessario nelle rappresentazioni un comporre semplice, che le rendesse chiare agli occhi ed alle menti - scrive il Toesca -; fu spontaneo il formarsi di schemi iconografici poco variabili, perchè i medesimi soggetti fossero facilmente riconosciuti da tutti" (38). La stessa semplificazione tecnica, oltre che dal procedimento della decorazione medievale (ossia dall'uso dell'affresco e del mosaico) è originata anche da questo fine educativo.

 

III - ALTRE OPERE D' ARTE

Se i motivi ed il significato dei due mosaici si collocano nella evoluzione dell'arte musiva veneta altomedievale, il Mausoleo di Marsilio, opera dei fratelli Dalle Masegne (39), è l'espressione delle nuove forme artistiche che sfociarono nel "gotico internazionale".

Sorretto da due leoni riposanti sulle basi di pietra d'Istria, il sarcofago è appoggiato al muro settentrionale della Chiesa. Il suo prospetto è diviso in tre scomparti: quello di mezzo, in marmo di Carrara, contiene un faldistorio con le figure della Madonna e del Bambino; ai lati S. Prosdocimo e S. Benedetto, che presenta alla Vergine il principe in ginocchio. Nella parte superiore, sei angeli circondano la scena, con evidente accenno alla profondità. Negli scomparti laterali, in marmo rosso di Verona, vi sono scolpiti la Madonna ed un Angelo (l'Annunciazione).

Domina nelle figure una ricerca sobria degli ornamenti, un'armonia di linee, indice di aspirazione ad una sempre maggiore eleganza decorativa, non senza qualche influsso delle forme auliche del gotico francese.

In questa aspirazione, chiaramente derivata dall'influenza della scuola pisana, non viene trascurato il contenuto della raffigurazione; ma anzi emerge l'abilità dei due scultori nel mettere a fuoco l'episodio, circoscrivendolo in uno spazio ben delimitato. Un certo interesse artistico riveste anche la Pietà, attribuita al Riccio (40). Essa rappresenta la Madonna e San Giovanni, che reggono il Cristo morto.

Se non è considerata l'opera principale dello scultore, senza dubbio è sufficiente a dimostrare la concezione artistica dell'autore, volto a rappresentare i sentimenti dei personaggi, attraverso la plasticità delle forme e l'espressione dei volti.

Significativo è il volto umanissimo della Vergine, che sembra ancora non sapersi spiegare il motivo di quella morte; ma senza dubbio questa ricerca plastica non raggiunge mai l'esasperazione. Traduce con l'espressione dei volti dolenti il tormento dei personaggi, che sono prima di tutto persone viventi.

In ciò il Riccio si rende interprete del significato, che assume il concetto di forma nel '400; essa deve avere come proprio contenuto la realtà.

 

IV - ISCRIZIONI LATINE DA CARRARA S. STEFANO

A completare il quadro della doviziosa storia di Carrara S. Stefano, giova presentare alcune iscrizioni, che puntualizzano personaggi e periodi di estremo interesse, anche se chiaramente non riferibili alla vita di un borgo rurale.

a) Iscrizione scoperta nel 1552 nell'Abbazia di Carrara S. Stefano; già appartenente alla raccolta custodita nel Museo del Catajo e portata in seguito alla Wiener Antikensammelung di Vienna (41). Per quanto riguarda l'onomastica ricordo che il gentilizio Pompeius è abbastanza attestato a Padova e nelle Venezie (42). Ma la particolarità più importante di tale iscrizione (che risale al I sec. d. C.), è rappresentata dall'esistenza di un praefectus iure dicundo, la cui funzione in genere era la sostituzione di magistrati in caso di estrema necessità. Secondo alcuni studiosi questa magistratura sarebbe stata propria di Patavium (43); tuttavia dopo i recenti studi si è propensi a credere che, anche se frequente a Padova, conservasse il suo carattere di eccezionalità. Di particolare interesse è il fatto che questo personaggio fosse anche un augur, benchè l'augurato non presenti carattere di eccezionalità nella zona. Si sa infatti con certezza della diffusione avuta di tale carica senatoria: l'iscrizione verrebbe a confermare la presenza di un'importante sede augurale a Patavium (44).

b) Iscrizione rinvenuta nel monastero di Carrara S. Stefano; appartenente in un primo tempo alla raccolta del Museo del Catajo. Fu in seguito portata alla Wiener Antikensammelung di Vienna (45). Nell'iscrizione, che risale al I sec. d. C., riveste particolare interesse, per quanto riguarda l'onomastica, il gentilizio Birrius, attestato anche ad Asolo (46). Interessante pure il nome Voltiomnis, di origine illirica. Non è neppure escluso che si tratti di gente locale.

c) Iscrizione affissa nel lato nord della Chiesa; in trachite dei Colli Euganei. Risale al I sec. d. C. (47). Di particolare interesse il gentilizio Domitius, assai diffuso nelle Venezie (48).

d) Iscrizione posta sul lato nord-est del campanile della Chiesa, alla base, entro il cimitero; si trova inscritta in una tabula ansata, in marmo rosso di Verona (49). Nell'iscrizione (fine del III, inizio del IV sec. d. C.), riveste particolare interesse, per quanto riguarda l'onomastica, il gentilizio Ennius, molto diffuso nelle Venezie e soprattutto a Padova e ad Este (50).

 

 

Ho suggerito alcuni spunti soltanto, per un contributo alla storia di Carrara; sufficienti spero per renderci conto della importanza storica del paese e dell'impellente necessità di raccogliere e tutelare tutte le memorie artistiche, che possono giovare alla conoscenza di una così alta civiltà.

 

 

 

 NOTE

 

 

(1) Importanti sono soprattutto i reperti eneolitici, rinvenuti a Cornegliana (R. BATTAGLIA, Preistoria del Veneto e della Venezia Giulia, volume fuori serie, 67-68, dal "Bollettino di Paletnologia Italiana, 1958-59, pag.255, fig.85) ed a Mandriola (E. GHISLANZONI, Oggetti dell'età eneolitica e del bronzo scoperti alla Mandriola, in "Notizie degli scavi di antichità 1931"). Interessanti pure i ritrovamenti paleoveneti nella stessa Padova, a S. Pietro Viminario ed in tutta la vicina zona aponense.

 

 

(2) Si tratta per lo più di ritrovamenti occasionali, venuti alla luce durante lavori agricoli.

 

 

(3) L. LAZZARO, Scoperta di un cippo gromatico a S. Pietro Viminario, estratto dagli "Atti e Memorie dell'Accademia Patavina di Scienze, Lettere ed Arti", volume LXXXIX (1971-72), Padova 1972

 

 

(4) C. GASPAROTTO, Padova romana, Roma, 1951, pag. 140

 

 

(5) Cfr. C.I.L. , V, 8110, 1-28

 

 

(6) Questa è l'opinione del Lazzaro, che ha curato un lavoro sulla zona termale aponense.

 

 

(7) Iscrizione n. 4

 

 

(8) G. DALL'OGLIO, Argomentazioni e notifiche ai parrocchiani di Carrara S. Stefano, Padova, Tip. del Seminario, 1927, pag. 4

 

 

(9) P. CEOLDO, Memorie della Chiesa ed abbazia di S. Stefano di Carrara nella diocesi di Padova, Venezia, 1802, pag. 9

 

 

(10) A. GLORIA, Codice Diplomatico Padovano dal secolo VI a tutto l'undecimo, Venezia, 1877, doc. 118

 

 

(11) P. CEOLDO, op.cit., pag. 5

 

 

(12) Cfr. A. GLORIA, op. cit., doc. 244, A. GLORIA, Codice diplomatico padovano dal 1101 alla pace di Costanza, Venezia, 1879-81, doc. 41

 

 

(13) Cfr. A. GLORIA, Codice diplomatico padovano dal 1101 alla pace di Costanza, doc.61, doc. 748

 

 

(14) L'ultimo principe fu Ubertino da Carrara.

 

 

(15) Di particolare interesse sono pure i bacini del Campanile, la cui importanza è sottolineata anche da un recente studio (G. B. SIVIERO, I bacini del campanile di Carrara S. Stefano, estratto da "Padusa - Bollettino del centro polesano di studi storici archeologici ed etnografici" del n. 1, Padova, 1973)

 

 

(16) P. CEOLDO, op. cit., pag. 129

 

 

(17) P. CEOLDO, op. cit., pag. 129

 

 

(18) P. CEOLDO, op. cit., pag. 277

 

 

(19) G. DALL'OGLIO, op. cit., pagg. 5-6

 

 

(20) CAMILLO BOITO, La Chiesa di Carrara S. Stefano presso Padova, XXVII, Aprile 1879, (Estratto dal "Politecnico", Giornale de l'Ing. arch. civ.e industr.), pagg. 5-6

 

 

(21) CAMILLO BOITO, op. cit., pag. 6

 

 

(22) F.BERCHET, II relazione annuale (1894) dell'ufficio regionale per la conservazione dei monumenti del Veneto, Venezia, 1894

 

 

(23) F. BERCHET, op. cit., pag. 89

 

 

(24) F. BERCHET, op. cit., pag. 89

 

 

(25) Dopo la scoperta dei due mosaici, in seguito al restauro del secolo scorso, si può senza dubbio pensare ad un'inesattezza dello storico (un piede padovano misura cm.29,5). A meno che non si tratti di un litostrato inferiore a quello rinvenuto.

 

 

(26) P. CEOLDO, op. cit., pag. 3

 

 

(27) P. L: ZOVATTO, Articoli in "L'osservatore Romano" del 3-3-1971 e "La difesa del popolo" del 25-7-1971

 

 

(28) P. L. ZOVATTO, Mosaici paleocristiani delle Venezie, Udine, 1963, pag. 159, fig. 162

 

 

(29) M. SALMI, L'abbazia di Pomposa, Milano, 1937, pag. 101, figg. 194-195

 

 

(30) P. L. ZOVATTO, op. cit., pag. 107, fig. 169

 

 

(31) P. L. ZOVATTO, op. cit., pag. 161

 

 

(32) J. BECKWITH, The art of Costantinople, and introduction to Bizantine art, Londra, 1961, pag. 103, fig. 129

 

 

(33) M. SALMI, op. cit., pag.III, fig. 235; pag. 137, fig.287

 

 

(34) EVA TEA, Medioevo, Torino, 1957, vol. II, pagg. 1016 - 1017, figg. 787 - 798

 

 

(35) M. SALMI, op.cit., pag.130, fig. 267

 

 

(36) M.SALMI, op.cit., pag. 131, fig. 269

 

 

(37) G.GALASSI, Roma o Bisanzio, Roma, 1953, pag. 378

 

 

(38) P.TOESCA, Storia dell'arte italiana - Il medioevo, Torino, 1927, pag. 153

 

 

(39) Gli scultori ed architetti veneziani Jacobello e Pier Paolo Dalle Masegne lavorarono soprattutto tra la fine del XIV e lo inizio del XV secolo.Le prime notizie li indicano attivi a Mantova nel 1383,e poco dopo a Bologna,dove eseguirono la tomba di Giovanni da Legnano (morto nel 1383) e la grande pala dell'altare nella Chiesa di S.Francesco (1388). Ultimata nel 1394la loro opera più importante (1'iconostasi della Basilica di S.Marco a Venezia),tornarono a Mantova,dove eseguirono la facciata della Chiesa di S.Pietro. Nel 1399 a Milano collaborarono alla decorazione del Duomo.Dopo il 1400 l'attività dei due scultori diminuisce; 1'unica opera di un certo rilievo,è il sepolcro di Margherita Gonzaga,eseguito dal solo Pier Paolo.

 

 

(40) Lo scultore Andrea Briosco, detto il Riccio (1470-1532), fu allievo a Padova di Bartolomeo Bellano, di cui terminò il monumento Roccabonella nella Chiesa di S. Francesco. Fu attivo soprattutto nella Basilica del Santo, dove eseguì con successo il famoso candelabro dell'altar maggiore (1507-1516) ed il monumento funebre al filosofo Antonio Trombetta (1521) che, con 1'arca Della Torre in S.Ferroo a Verona,è considerato il suo capolavoro.A Padova lavord anche nella Chiesa di S.Canziano; alcune sue opere sono conservate al Museo Civico.

 

 

(41) C.I.L.,V,2836.G.FURLANETTO,Le antiche lapidi patavine illustrate,Padova,1847,pag.l3l,n.124

 

 

(42) Cfr.C.I.L.,V,pag.1123

 

 

(43) C.I.L.,V,pag.268

 

 

(44) Cfr.C.GASPAROTTO? op.cit.,pag.43

 

 

(45) C.I.L.,V,2906.G.FURLANETTO,op.cit.,pag.356,n.432

 

 

(46) Cfr.C.I.L.,V,2101

 

 

(47) C.I.L.,V,2940

 

 

(48) Cfr.C.I.L.,V,pag.1112

 

 

(49) C.I.L.,V,2946

 

 

(50) Cfr.C.I.L.,V,pagg.lll2-1113

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

© 1998 Paolo Valandro

Due Carrare - Padova - Italia